lunedì 11 marzo 2013

Mancato pagamento delle casse La Uilm presenta esposto all'Inps


«Nelle pieghe dei numeri della crisi - scrive l'Uilm in un comunicato - non c'è soltanto il dramma dei disoccupati o di coloro che stanno per perdere il posto di lavoro. C'è anche un'altra folta platea di lavoratori, più difficile da censire ma altrettanto degna di attenzione: sono quelli, per lo più dipendenti di piccole imprese, che si recano al lavoro tutti i giorni (quando non sono in cassa), ma che non ricevono lo stipendio a fine mese». 
«Alcune di queste aziende non sono nemmeno in grado di anticipare il trattamento di cassa integrazione ordinaria e nei casi più gravi non riescono a pagarla neanche quando l'Inps ne ha autorizzato il versamento. Il meccanismo è piuttosto perverso: quando, infatti, un'azienda non ce la fa a far fronte al pagamento degli stipendi, spesso non è in grado neppure di versare i contributi previdenziali e, per tale ragione, ottiene dall'Inps la possibilità di rateizzarli». «Quando, però, lo stesso istituto autorizza il pagamento della cassa, che avviene conguagliando l'indennità economica dai versamenti contributivi, è ovvio che l'azienda, dovendo far leva su somme che già non riusciva a versare, va inevitabilmente incontro alla mancata erogazione, a discapito delle tasche dei lavoratori». 
«In simili casi, una volta del tutto eccezionali e ora sempre più frequenti, l'ente previdenziale può decidere il pagamento diretto della cassa ai lavoratori ma non il pagamento di altri istituti come la maternità e/o la malattia, attuando così una difformità di trattamento discriminatoria verso alcuni lavoratori». 
«Per tale motivo la Uilm di Bergamo ha presentato un esposto all'Inps provinciale per chiedere di dirimere la questione, se necessario, portando il problema a livelli più alti come quello regionale o nazionale. "Esposto a parte - sottolinea Damiano Bettoni, della segreteria Uilm di Bergamo - la nostra preoccupazione riguarda anche la la tempistica dei pagamenti perché, pure nei casi meno estremi come quelli in cui l'azienda usufruendo del conguaglio riesce a pagare, i lavoratori devono spesso attendere fino a 3 mesi per il versamento della cassa ordinaria e fino a 6 mesi per quella in deroga"». 
«"È chiaro che si tratta di tempi inaccettabili non sono per i capifamiglia monoreddito. Vista la grave situazione, l'organizzazione sindacale si spinge a proposte che di provocatorio hanno ben poco: se i tempi sono lunghi per l'enorme mole di richieste di cassa ordinaria e in deroga che pervengono agli uffici preposti dell'Inps, perché non mandare rinforzi al personale addetto, reperendo le risorse umane necessarie dai Centri per l'impiego? Invece di indirizzare i lavoratori in mobilità nei Comuni per lavori socialmente utili, questi ultimi li potrebbero inviare all'Inps, dato che fra l'altro è proprio questo ente a pagar loro l'indennità di mobilità"». 
«E riguardo al fatto che i fondi stanziati per la cassa in deroga stiano già per finire e che ad oggi non vi sia la certezza di un loro rifinanziamento da luglio in avanti, Bettoni aggiunge: "La Uilm esprime forti perplessità sulla gestione del problema col seguente e sintetico ragionamento: invece che finanziare di volta in volta lo strumento della cassa in deroga utilizzando fondi derivanti dalla fiscalità generale, non sarebbe stato meglio estendere la cassa ordinaria a tutte le imprese finanziandola con i contributi della parte datoriale e di quella dei lavoratori come già avviene per coloro che oggi ne hanno diritto?"». 
«"E se questa strada non è più percorribile visti i tempi di magra, la soluzione alla mancanza di fondi per la cassa in deroga potrebbe avvenire realmente reperendo le risorse necessarie dai tanto acclamati e mai realizzati tagli ai costi della politica o dal congelamento del finanziamento pubblico ai partiti. Il conto di questa crisi finora lo hanno pagato soprattutto lavoratori e aziende. Ora è giusto che lo paghino anche i politici e la classe dirigente di banche e finanza, se non altro per un più equa distribuzione dei sacrifici fatti e che saranno da fare per uscire dalla crisi"». Si allega il testo dell'esposto, con il nome della dipendente e dell'azienda nascosto per ragioni di privacy.
OGGETTO: Pagamento diretto maternità.
«Con il protrarsi della crisi aumentano le piccole aziende in grosse difficoltà economiche che non riescono a far fronte al pagamento degli stipendi, ricorrendo alla dilazione di questi e alla rateizzazione dei versamenti dei contributi previdenziali all'Inps. In queste situazioni fortemente critiche, per le maestranze si viene a creare l'esigenza di ulteriori tutele oltre a quelle comuni come la cassa integrazione guadagni: una di queste è il pagamento diretto della cassa integrazione ordinaria da parte dell'inps ai dipendenti coinvolti, per evitare il rischio che le aziende che usufruiscono del conguaglio non riescano poi a far fronte all'erogazione economica lasciando scoperti i lavoratori». 
«Questo è quello che è successo alla - omissis- di Alzano Lombardo dove è stato riconosciuto il pagamento diretto della prima tranche della cassa ordinaria e allo stesso tempo non è stato riconosciuto alla dipendente - omissis - il pagamento diretto della maternità obbligatoria». 
«Premesso che: 1) il fine dei due strumenti di ammortizzazione sociale sono gli stessi ovvero dare un sostegno economico a chi è impossibilitato a lavorare (per mancanza di lavoro nel caso della cassa integrazione e per assistenza e cura della prole nel caso della maternità). 2) il meccanismo del pagamento dei due ammortizzatori è identico in quanto ha luogo conguagliando la cifra dovuta, dai versamenti contributivi che l'azienda deve all'Inps. 3) il rischio che l'azienda in difficoltà usufruisca del conguaglio ma non riesca a versare il dovuto ai lavoratori è lo stesso per chi si trova in cassa integrazione e per chi è in maternità. Il seguente quesito sorge quindi spontaneo: perché la maternità viene discriminata rispetto alla cassa integrazione negandone il pagamento diretto?». 
«La donna in maternità, sicuramente soggetto più debole rispetto ad altre categorie di lavoratori, ha forse meno dignità delle sue colleghe o dei suoi colleghi in cassa integrazione ordinaria? A nostro modo di vedere l'istanza della lavoratrice è legittima ed ha oggettivi motivi di fondatezza, pertanto anche per evitare inutili contenziosi giudiziari e dal momento che si stanno profilando altri casi simili in diverse aziende, gradiremmo avere delucidazioni in merito per capire se fosse possibile rivedere la decisione nonché accogliere future istanze che analogamente si potrebbero presentare su tutto il territorio nazionale».fonte:ecodibergamo.it


Nessun commento:

Posta un commento