venerdì 1 febbraio 2013

Fanno amicizia e scoprono di essere padre e figlio


«Gli anni volano, i mesi passano, i giorni non finiscono mai». È scritto sul muro di una cella di Canton Mombello. Quelle celle suddivise su quattro piani e due sezioni. Con le sbarre blu e i letti gialli.Tutte uguali sono le celle di Canton Mombello. Tutte troppo piccole per ospitare i detenuti. In sei dormono, mangiano, vivono in spazi che a fatica potrebbero ospitare due persone. Varcare la soglia del
carcere cittadino è come entrare in una città nella città. Lo facciamo con le telecamere di Teletutto che per la prima volta riprendono la vita oltre le sbarre. Gli arrestati che arrivano in carcere passano prima dall'ufficio matricole, poi vengono sottoposti a controlli medici. «Rispetto all'esterno qui c'è una concentrazione di malattie infettive dieci volte superiore: epatite C, virus dell'HIV e tubercolosi» riferiscono dall'Area Sanitaria del carcere di Brescia. Italiani e stranieri, giovani e anziani. Vivono tutti gomito a gomito dietro le sbarre.«Non dovrebbe essere così, ma è l'effetto del sovraffollamento» raccontano gli agenti di Polizia penitenziaria. Ogni cella nasconde una storia di vita, un passato difficile e un futuro con mille incognite. «Non penso a un dopo carcere perché per chi è stato in galera vent'anni è difficile immaginare un futuro» sostiene un detenuto bergamasco che divide la cella con cinque bresciani. Alcuni racconti dal carcere sembrano uscire dalla penna di uno scrittore di romanzi.E invece sono capitoli di vita vissuta. Come la storia di Vincenzo, detenuto bresciano di 61 anni che in carcere ha scoperto di essere padre. Di un figlio che non sapeva di avere. Detenuto pure lui. «Un giorno durante l'ora d'aria ho incrociato un ragazzo. Ci siamo guardati e riguardati» racconta Vincenzo. «Ho chiesto al suo compagno di cella chi fosse. Mi ha spiegato che la madre era di Salò». Una donna che Vincenzo aveva conosciuto in passato. «Portale i miei saluti» dice. Il ragazzo prende carta e penna e scrive alla madre. Che non risponde. O meglio. Non a lui, ma a Vincenzo. «Quel ragazzo che hai incrociato in carcere è tuo figlio. Ha 37 anni».Un fulmine a ciel sereno. «Io sono già padre e nonno. Non me l'aspettavo. Ho pensato per una notte a cosa fare. L'ho riguardato in faccia e ho visto i miei stessi occhi. E così gli ho detto tutto». Vincenzo ha riconosciuto il figlio e in cella ha iniziato a costruire con lui un rapporto. Che ora continua a distanza. «Io devo ancora rimanere rinchiuso per un po' di tempo, mentre mio figlio ha ottenuto gli arresti domiciliari» racconta l'uomo con le lacrime agli occhi e la voce rotta dall'emozione. Storie che arrivano da dietro le sbarre. Dove il tempo si ferma. E dove i muri raccontano che «i giorni non finiscono mai».

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