giovedì 24 gennaio 2013

Bimba bresciana tenuta «nascosta» per 4 anni



Ha da poco compiuto dodici anni. L'anagrafe sa della sua esistenza solo da otto. Per i primi quattro e mezzo non è esistita. Almeno ufficialmente. A sapere di lei i suoi genitori. Una coppia clandestina. Lui sposato con figli. Lei pure. Per difendere la loro clandestinità, «e non recare danno alle famiglie di origine» i due all'epoca decisero un parto casalingo. Non solo: in seguito hanno evitato di iscriverla all'anagrafe, ma anche di sottoporla a visite pediatriche e vaccinazioni. Non l'hanno portata al nido, né alla scuola materna. Le hanno assicurato una casa nella quale, dividendosi la giornata in turni, darle affetto e le cure necessarie. Per quattro anni e mezzo le hanno fatto mancare solo l'ufficialità del riconoscimento. L'hanno tenuta lontana dal registro dell'anagrafe per tenerla lontana dagli occhi delle rispettive famiglie.Nel gennaio di otto anni fa papà e mamma, residenti in provincia, hanno deciso il passo. Si sono presentati all'anagrafe del loro Comune di residenza e hanno dichiarato allo Stato, e alla collettività, la nascita di loro figlia. Chi ha ricevuto gli atti non ha potuto far altro che sorprendersi per il ritardo della denuncia. E l'ha comunicato all'autorità giudiziaria. Per papà e mamma sono iniziati i guai. I due sono stati infatti denunciati per soppressione di stato civile (art. 566 c.p.), reato che può essere punito con la reclusione da tre a dieci anni.In primo grado, al termine del processo con rito abbreviato, i due sono stati condannati ad un anno e quattro mesi di carcere. Hanno beneficiato della sospensione condizionale della pena, poi indultata, e pure di quella accessoria, ovvero la perdita della potestà genitoriale.La condanna è stata confermata in appello. E portata davanti alla Corte di Cassazione dal difensore del papà e della mamma della bimba.L'avvocato dei due ha eccepito la sentenza per vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale. In particolare ritiene che la dichiarazione tardiva, con tanto di motivazioni, abbia sanato la loro posizione. Quanto alla pena accessoria prevista in caso di condanna per soppressione di stato civile, la difesa ha contestato la legittimità costituzionale dell'articolo. La Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente fondata l'eccezione e ha investito della questione la Corte Costituzionale.I giudici delle leggi si sono pronunciati con sentenza depositata ieri, dichiarando l'illegittimità dell'art. 569 cp (quello che prevede la perdita della potestà genitoriale in caso di condanna per soppressione di stato). La Corte Costituzionale, come scrive il giudice relatore Paolo Grossi, ritiene che «l'automatismo che caratterizza l'applicazione della pena accessoria risulta compromettere gli stessi interessi del minore». «La salvaguardia delle esigenze educative ed affettive», rileva la sentenza, sarebbero «compromesse, ove si facesse luogo ad una non necessaria interruzione del rapporto tra il minore ed i propri genitori in virtù di quell'automatismo e di quella fissità». Al contrario, va garantita al giudice «ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto».Ora le carte tornano in Cassazione. Per la decisione del ricorso.

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