venerdì 18 gennaio 2013

«Fiat tornerà a pieno regime entro 4 anni»

È il margine di tempo fissato da Sergio Marchionne, relatore al «QuattroruoteDay» che si è svolto a Milano, per far ripartire a pieno regime il sistema industriale italiano del Lingotto. L'ad di Fiat-Chrysler, in pratica, non ha fatto altro che ribadire, seppur in altri
termini, quanto esposto il 30 ottobre ai sindacati (Fiom esclusa). Tra il 2012 e il 2016, infatti, il nuovo piano di Fiat prevede il lancio di 17 nuovi modelli e di 7 aggiornamenti.Due le sfide in cui si è lanciato Marchionne e dall'esito delle quali dipende il destino degli impianti e di chi ci lavora (quindi, anche il rispetto dei tre-quattro anni per ridare respiro ai bilanci degli operai): la prima, riguarda il cambio di marcia del gruppo, che da ora in poi si orienterà sempre più sull'alto di gamma e il «premium», confrontandosi con gli specialisti tedeschi (Bmw, Mercedes e Audi); la seconda, si riferisce alla trasformazione in hub per l'export degli stabilimenti del Paese, a partire da Melfi dove nel 2014 partirà la produzione dei B-Suv, Fiat (500X) e Jeep.Marchionne è consapevole che altri rinvii o nuovi cambi di rotta, seppur dettati da situazioni indipendenti dal Lingotto, sarebbe difficile da far digerire alle istituzioni e ai sindacati. Insomma, sembra proprio che il piano al 2016 possa definirsi quello dell'ultima spiaggia, magari non per il gruppo, vista la sua forza negli Usa (nel 2012 hanno rappresentato il 60% del business torinese), ma per il suo contributo allo sviluppo dell'economia italiana. In proposito, Marchionne ieri è stato chiaro: «Possiamo e dobbiamo fare degli stabilimenti italiani una base di produzione per i veicoli destinati ai mercati di tutto il mondo. Già nei prossimi mesi 24 mesi potremo ottenere un significativo aumento dell'attività produttiva, e avremo modo di risolvere il problema dell'eccesso di capacità nel mercato generalista, raggiungendo finalmente il pareggio in Italia e in Europa». L'alternativa a questa strategia studiata «non per i deboli di cuore», ha ricordato il top manager, era di continuare a puntare sul mercato generalista, in profondo rosso, e per questo di dover mettere i sigilli a un secondo impianto («Fiat non chiuderà fabbriche, gli altri in Europa l'hanno fatto», la rassicurazione dell'ad).Su Melfi e i due anni di cassa integrazione per riammodernare il sito, come è stato fatto per Pomigliano, Marchionne ha tagliato corto: «Uno che capisce un minimo di macchine sa che per passare da una vettura all'altra occorre cambiare tutto. Non faccio panini, io».L'ad non ha saputo trattenere il disappunto per le pesanti critiche piovute su Fiat proprio per la «cassa» a Melfi, definendo «oscene le dichiarazioni» al riguardo «di alcuni politici» che, come niente fosse, anche ieri hanno dato addosso al gruppo (Tonino Di Pietro, Nichi Vendola, Bruno Tabacci, il solito Maurizio Landini, capo della Fiom con l'ex sindacalista e futuro onorevole Sel, Giorgio Airaudo). Intanto, dopo aver confermato che il 30 gennaio sarà inaugurato ufficialmente il nuovo impianto di Grugliasco (l'ex sito Bertone alle porte di Torino su cui sono stati investiti 1,2 miliardi), per la produzione delle Maserati Quattroporte e Ghibli, Marchionne non ha aggiunto altro sulle prossime tappe del piano. Sembra, comunque, che prima del rilancio di Mirafiori (con la MiTo, produrrà lo sport utility Maserati Levante e la futura ammiraglia Alfa), ci sia quello di Cassino, previsto entro l'anno (qui nascerà l'Alfa Giulia). Bene la Borsa (+6,18%) sulla fiducia dell'ad in una ripresa del mercato Ue, da giugno, e sull'intesa con Gac per produrre 100mila Jeep l'anno in Cina, tra 18 mesi.

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